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"Rebecca" di Daphne du Maurier.

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Oggi vi consiglio di scoprire un classico della letteratura gotica / romantica che ha ispirato un film del caro vecchio Hitchcock.
Il classico in questione è  "Rebecca" di Daphne du Maurier, romanzo conosciuto anche con il nome di "Rebecca la prima moglie" grazie al film.
La seconda signora de Winter ha tutto: la giovinezza, l’avvenenza – i capelli a caschetto, le guance rosee senza bisogno di belletto –, l’ingenuità che, coniugata ai tratti sognanti, ha tutto l’aspetto di un’innocenza profonda, di un candore angelico. Ha un marito ricco ed elegante, Maxim, al cui fascino certe ripetute reticenze regalano un’intensità magnetica. E ora, grazie al matrimonio, ha una magione principesca in Cornovaglia, Manderley, silenziosa e piena di segreti, con le pietre grigie delle pareti che sfavillano al chiaro di luna e le finestre che riflettono il verde dei prati. Solo un’ombra le impedisce di essere davvero felice. Rebecca, la prima moglie. Lo spettro di Rebecca – evocato senza requie dalla governante di Manderley, Mrs Danvers, oscura presenza allignata in ogni angolo della grande casa – tormenta la nuova signora de Winter, corrompendo le dolcezze della sua vita coniugale: ogni cosa a Manderley sembra ricordarle che non sarà mai bella come Rebecca, intelligente come Rebecca, amata come Rebecca. E quando, poco dopo la luna di miele, Maxim sembra allontanarsi da lei, la fiaba minaccia di trasformarsi nel più cupo dei tormenti. 
Scrittrice la cui raffinatezza non si discosta mai da uno sferzante sarcasmo, illuminato da bagliori di autentica ferocia, Daphne Du Maurier trasforma un intreccio melodrammatico, memore dei romanzi neri di Ann Radcliffe, in un inesorabile marchingegno a orologeria, un giallo il cui mistero più insondabile è la narratrice stessa, che rimane sempre senza nome. 
Fu forse questa radicale ambiguità, questo saper trasformare le favole in incubi, che tanta presa fece sull’immaginazione di Hitchcock, il quale – pur non a suo agio con gli aspetti sentimentali del romanzo – seppe trarre da questa storia un film angosciante e claustrofobico, che dispiega ogni artificio cinematografico per accrescere la sensazione di straniamento della protagonista, una giovanissima Joan Fontaine, e insieme dello spettatore. Sullo schermo come sulla pagina, alle stanze e ai corridoi labirintici di Manderley, ai suoi segreti, non si può fare a meno di tornare.

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